2 giugno 2017
Un incontro pugliese dal sapore marcatamente manouche quello andato in scena allo Zapoj di Foggia, lo scorso venerdì 26 maggio, con protagonista – special guest della serata – il giovane talento della fisarmonica italiana, Vince Abbracciante, ormai riconosciuto anche all’estero per le sue qualità espressive e per la grande versatilità stilistica. Nato a Ostuni, pupillo di Richard Galliano che a suo tempo, in occasione di alcuni stage ne colse per primo le potenzialità, di ritorno da una serie di concerti brasiliani – tra le varie tappe, i 1200 posti del Teatro Palladium di Belo Horizonte – Vince ha raccolto la sfida “zingara” di un altro interessante sodalizio di musicisti quasi tutto pugliese, quello dei Gypsy Project. Fondato nel 2012 dai chitarristi foggiani Vittorio Menga e Nunzio Ferro, nato nel solco di Django Reinhardt, il gruppo si è ritagliato un posto interessante negli ultimi tempi, tanto in Italia che all’estero, trovando una propria riconoscibilità nelle numerose performance live e arricchendosi delle sonorità virtuose del violinista abruzzese Domenico Mancini, oltre che dell’apporto dei contrabbassisti Giovanni Mastrangelo e Nicola Scagliozzi (anche loro pugliesi).
Allo Zapoj lo scambio è stato appassionante, così come emerge nelle parole soddisfate dello stesso Abbracciante: l’inter-play con il resto dell’ensemble è cresciuto durante il concerto, sino al raggiungimento di un’impalcatura sonora assolutamente credibile, d’impatto, del tutto trascinante: nel brano Caravan, bissato a grande richiesta, tutte le potenzialità dell’esperimento sono venute alla luce.
Di Alessandro Galano
Partiamo dalle origini: perché proprio la fisarmonica?
Si tratta dello strumento di famiglia, la suonava mio nonno. Lui la insegnò a mio padre e mio padre a me. Accadde quando avevo otto anni, quasi per gioco. L’estate spesso ci recavamo in campagna e c’erano tutti i miei cugini più grandi che studiavano e suonavano con mio padre. Per non sentirmi fuori dal gruppo, chiesi a mio padre di mettermi in braccio una fisarmonica. È iniziata così.
Qual è la percezione che hai quando vai all’estero, per esempio in Brasile, dove sei stato di recente, portando le sonorità che ti contraddistinguono e che sono figlie del nostro paese?
In realtà proprio in Brasile la fisarmonica è lo strumento principale della tradizione popolare, ancor più che in Italia. Dunque è un pubblico pronto, preparato. Artisti come Luiz Gonzaga tenevano concerti negli stadi, con la gente sotto al palco a ballare davanti alla fisarmonica. Ancora oggi, in Brasile, ci sono delle discoteche dove suonano “forrò”, la loro danza popolare, con percussionisti, basso elettrico, chitarra e fisarmonica. Se non c’è la fisarmonica non si divertono.
In Brasile hai portato “Sincretico”, il tuo nuovo lavoro discografico, giusto?
Sì, è uscito all’ inizio di maggio, è un concept album di otto brani originali scritti per fisarmonica, chitarra, contrabbasso e quartetto d’archi., composti e arrangiati da me. Suonano sull’album Nando Di Modugno alla chitarra, Giorgio Vendola al contrabbasso e gli archi dell’Alkemia Quartet.
Sincretico è un riferimento al sincretismo artistico-musicale, no?
Il sincretismo è la sintesi di varie forme, sì. Ho fatto una sintesi di tutte le forme musicali che ho studiato in questi anni, dalla musica classica al jazz, da quella brasiliana al tango, senza tralasciare tanta musica italiana e contemporanea. Quando improvvisavo, questa sintesi mi veniva naturale ma, come sappiamo, quando si improvvisa si è soprattutto istintivi ed è difficile ripetersi sul piano compositivo. Quando si scrive è diverso: in questo caso però, ho voluto mettere su carta, comporre, quello stesso istinto utilizzato in occasione delle performance dal vivo.
Tante forme musicali, hai detto. Qual è quella che frequenti con maggiore naturalezza?
Sono sempre stato onnivoro. Adesso, ad esempio, ho un amore sconsiderato nei confronti della musica brasiliana perché loro sono riusciti a fare qualcosa di straordinario, rendendo la loro musica popolare al livello della musica classica, con delle composizioni che sono a dir poco allucinanti. Hanno realizzato quello che gli americani costruirono col jazz. È una realtàche mi affascina molto.
E l’esperienza con Richard Galliano, con i suoi complimenti nei tuoi confronti?
Tutto è nato da un workshop fatto con lui nel 2003, e già allora mi fece diversi complimenti. A distanza di qualche mese poi, venni a sapere che aveva fatto un’intervista su “Jazzman”, una rivista francese, dove aveva parlato di me, sottolineando le mie qualità. Lo scoprii per caso, insomma. E fui contentissimo. Successivamente è venuto a suonare a Taranto e lì, in quell’occasione, gli feci la “proposta indecente” di suonare insieme: tre concerti emozionanti, bellissimi, l’ultimo nel teatro di Ostuni, a casa mia. Suonare con il pilastro attuale della fisarmonica jazz è stato eccezionale.
A proposito di jazz e di fisarmonica: di recente, hai cominciato a suonare altri strumenti?
Sì, negli ultimi anni mi sono appassionato alle tastiere vintage…
L’Hammond, giusto?
Esatto: ogni tastiera ha le sue tecniche particolari e richiede una manualità diversa. Io sto provando a mischiare tutte le varie tecniche su ogni strumento che suono. Quindi sulla fisarmonica applico le tecniche dell’Hammond, ad esempio. D’altronde, nel 2017 non si può inventare più nulla, soprattutto nel jazz. Le cose interessanti avvengono quando si mischiano bene le carte, senza cercare di imitare nessuno…
A proposito della tua continua ricerca, hai anche dato vita ad un nuovo sistema per il cambio dei registri della fisarmonica, inventato da te, giusto?
Sì, esatto. È che non mi andava bene che la fisarmonica avesse dei registri già precostituiti, con tasti e suoni già formati. Dunque, insieme alla ditta Borsini, abbiamo escogitato un sistema di registri simile a quello dell’organo Hammond: un sistema più libero dal punto di vista dei registri, nel quale riesco ad esprimermi meglio.
E stasera, invece, dalle sonorità brasiliane al manouche. Come ti sei trovato?
Mi piace molto questo tipo di musica e mi sono trovato molto bene stasera con i Gypsy Project, sono contento che mi abbiano invitato. Spero proprio che ci siano altre occasioni di incontrarli perché non mi capita spesso di suonare manouche.